Inaugurato il monumento dedicato a Domenico Ricci, che guidava la Fiat 130 di Aldo Moro, a Oreste Leonardi, capo scorta, e agli agenti Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi.

16 marzo 1978

Sono passati esattamente 40 anni dal rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, da parte delle Brigate Rosse. Oggi, durante l’anniversario dalla cattura, il capo dello Stato Sergio Mattarella rende omaggio alle vittime della strage di via Mario Fani.

Via Mario Fani, Aldo Moro

16 marzo 2018

Una corona d’alloro, che riprende i colori della bandiera italiana, viene deposta sul nuovo monumento in memoria dell’appuntato dei carabinieri, Domenico Ricci, del maresciallo Oreste Leonardi, e dei poliziotti Giulio Rivera, Raffaele Iozzino e Francesco Zizzi. Così il presidente della Repubblica onora la memoria di uomini morti facendo il proprio lavoro.

Vita e politica

Nato a Maglie, in provincia di Lecce, nel 1916, Aldo Moro si laurea in Giurisprudenza a Bari. Attivo politicamente fin dai tempi dell’università, in cui s’impegna nella FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani), Moro passa dall’essere eletto rappresentante della DC nel 1946 e suo segretario nel 1959, a diventare Ministro degli Esteri tra il 1970 e il 1974. Dopo essere stato eletto nel ’63 presidente del Consiglio di un governo che vede la partecipazione dei socialisti (esperienza che termina cinque anni più tardi) Moro nel ’74 costituisce il suo quarto governo. Ma l’anno successivo arriva un’importante novità: alle elezioni amministrative il Partito Comunista Italiano ottiene un enorme consenso. Viene così riportata al centro del dibattito politico una strategia che Moro sostiene da anni: il coinvolgimento del PCI nella coesione del Governo allo scopo di dare una spinta riformista al Paese.

L’agguato

Il 16 marzo 1978 l’onorevole Moro si sta recando in Parlamento per votare la fiducia al primo governo con il sostegno dei comunisti. Alle 9.02 la sua Fiat 130 e un’Alfetta sono pronte a partire da via Mario Fani. È in quel momento che una Fiat 128, targata Corpo Diplomatico, blocca le due macchine dando inizio alla sparatoria. Cinque agenti della scorta vengono uccisi mentre Aldo Moro, rimasto illeso, viene prelevato e rapito dalle Brigate Rosse.

Comincia la fase del sequestro avvenuto in via Montalcini, zona Portuense, e durato 55 giorni. I processi hanno portato all’individuazione e all’arresto di dieci brigatisti che hanno partecipato al rapimento. Ma durante la fase del sequestro Moro comincia a chiedere di trattare con i terroristi per ottenere la sua liberazione. Il prigioniero si trasforma così da vittima a improvviso antagonista delle istituzioni, che avevano scelto la linea della fermezza.

Aprile-Maggio 1978

Il 18 aprile 1978 arriva infatti un falso comunicato che sostiene che il detenuto sia stato ucciso e buttato nel lago della Duchessa, in provincia di Rieti. La lettera però non è scritta dai Brigatisti ma, probabilmente, da apparati dello Stato. Per i rapitori questo è il segnale che la partita sia volta al termine: Moro può essere ucciso perché le istituzioni non cambieranno idea. Lo scambio richiesto dalle Brigate Rosse tra Moro e Paola Besuschio non è effettuato. La mattina del 9 maggio Aldo Moro è assassinato e il suo cadavere ritrovato nel portabagagli di una Renault 4 a via Michelangelo Caetani, a metà strada tra la sede della DC e quella del PCI.

«Mia dolcissima Noretta – scrive Moro nella sua ultima lettera alla moglie il 5 maggio 1978 – Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo».

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Testo e foto: Giulia Di Giovanni

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